
Lo studio ha messo a confronto otto studi recenti pubblicati fra il 2008 e il 2010 (Agenzia Nucleare dell’Ocse, Ufficio del Budget del Congresso Usa, Dipartimento dell’Energia Usa, Massachusetts Institute of Technology, Commissione Europea, Camera dei Lords, Electric Power Research Institute e Moody’s), e presentati sul periodico ‘Gazzetta Ambiente’. Che il nucleare non sia una fonte conveniente per i bilanci familiari «ne ha dato prova il Regno Unito negli ultimi 20 anni», scrive il docente di Politiche energetiche dell’ Università di Greenwich Steve Thomas sulla rivista Energia. Ma è in Italia che questa fonte derivante dall’atomo sembra essere ancora più cara, perchè il nostro Paese sconta la ripartenza da zero, nonchè la necessità di importare reattori «che non produciamo».
Inoltre per le caratteristiche del nostro territorio, e «le forti opposizioni locali», continua il rapporto della Fondazione, occorre considerare «tempi prevedibilmente più lunghi» di realizzazione delle centrali. Il costo per rispettare le direttive europee sull’abbattimento dell’anidride carbonica (Co2), ha infine osservato Ronchi, «non compenserà il gap economico che tra dieci/venti anni vi sarà tra il nucleare, peraltro di difficile realizzazione in Italia, e le altri fonti di energia.
E il programma nucleare italiano, con i suoi 100 terawattora (TWh) e 13.000 MW di nuove centrali entro il 2030, non può semplicemente essere aggiunto all’ esistente che comprende uno sviluppo delle rinnovabili (circa 100 TWh entro il 2020), di nuove centrali a gas e a carbone in costruzione o in fase avanzata di autorizzazione (almeno altri 10.000 MW entro il 2020), perchè la crisi economica e le politiche di risparmio e di efficienza energetica stanno configurando una futura crescita moderata dei consumi elettrici.
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